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La Suprema Corte ribadisce che spetta al fisco dimostrare la natura fittizia di una società estera. La sentenza n. 32155 del 2025 chiariscei confini
Spetta al fisco provare che la società straniera è fittizia e il contribuente ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che comporta un minore carico fiscale. Con la sentenza n. 32155 del 10 dicembre 2025 la Corte di cassazione è tornata a delimitare in modo rigoroso i confini dell’esterovestizione societaria, respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro una holding lussemburghese accusata di avere in Italia la propria residenza fiscale di fatto. Al centro della controversia vi era un accertamento Ires e Irap fondato sulla presunta localizzazione in Italia della sede di direzione effettiva della società estera. Quest’ultima era controllata da soggetti residenti in Italia ed era collegata a un gruppo industriale italiano.
Secondo il Fisco, la gestione sarebbe stata accentrata in sede domestica, con conseguente imponibilità dei redditi prodotti dallasocietà lussemburghese.
La Suprema Corte ha però confermato le decisioni di merito favorevoli al contribuente, ribadendo un principio ormai consolidato:
I principi consolidati sull’esterovestizione
L’esterovestizione non può essere desunta automaticamente dal controllo esercitato dalla capogruppo italiana o dal luogo di provenienza degli impulsi strategici. Per configurare la residenza fiscale in Italia è necessario dimostrare che la società estera sia una mera «costruzione artificiosa», priva di una reale autonomia economica e decisionale. I giudici di legittimità hanno chiarito che la nozione di «sede dell’amministrazione», rilevante ai sensi dell’art. 73 del Tuir e delle convenzioni contro le doppie imposizioni, coincide con la sede effettiva, ossia il luogo in cui si svolgono concretamente le attività di direzione e amministrazione. Tale accertamento richiede una valutazione complessiva di elementi formali e sostanziali, come, per esempio, il luogo di riunione degli organi sociali, la residenza degli amministratori, la tenuta della contabilità, lo svolgimento dell’attività principale. In questo quadro, la Corte ha sottolineato la necessità di un bilanciamento coerente con i principi unionali sulla libertà di stabilimento, ricordando che la scelta di localizzare una società in uno Stato fiscalmente più vantaggioso non integra di per sé un abuso.
La sede effettiva e l’onere della prova
Sul piano processuale, la sentenza ribadisce che l’onere della prova grava sul Fisco e che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una rivalutazione del merito probatorio.





