L’intesa raggiunta tra Ursula von der Leyen e il presidente Trump segna un punto di svolta nell’equilibrio commerciale tra Stati Uniti e Unione europea. Il nuovo dazio “piatto” del 15% imposto sui prodotti europei, e quindi anche italiani, rischia di mettere in ginocchio interi settori del nostro export. Secondo le stime di Confindustria, l’Italia potrebbe perdere oltre 22,6 miliardi di euro in esportazioni, con una ricaduta sul PIL stimata intorno a mezzo punto percentuale.
Un colpo duro per un Paese che basa buona parte della sua forza economica sulla manifattura e sull’export di qualità. A essere colpiti sono in particolare i prodotti che fino ad oggi godevano dell’accesso duty-free al mercato americano: moda, alimentare, cosmetica, macchinari leggeri. In altre parole, l’eccellenza del made in Italy.
Eppure, ci sono anche settori che vedono un parziale sollievo. L’accordo ha infatti stabilito che il dazio del 15% costituisce un tetto massimo, e non si somma alle tariffe già esistenti. Così, chi prima pagava dazi ben superiori – come nel caso del prosciutto, delle borse o del comparto automotive – ora si trova in una situazione più favorevole. Le auto e i componenti, ad esempio, passano da un dazio del 25% al nuovo limite del 15%.
Ma non possiamo accontentarci. L’intesa lascia fuori acciaio, alluminio e derivati, ancora soggetti a una tariffa penalizzante del 50%. E su altri comparti strategici come farmaceutica e semiconduttori, l’incertezza regna sovrana: dazi fino al 200% minacciano la competitività futura, mentre i chiarimenti promessi da Bruxelles non arrivano.
È giunto il momento di cambiare approccio. Le nostre imprese, già alle prese con caro energia, inflazione e burocrazia, non possono essere lasciate sole in questa tempesta. L’Europa non può limitarsi a firmare accordi al ribasso: deve tornare a difendere con coraggio il lavoro, le competenze e il valore del sistema produttivo italiano.
Noi di FISAPI chiediamo con forza che i negoziati si fondino su una vera equità commerciale, e non diventino terreno di scambio per logiche geopolitiche che nulla hanno a che vedere con il tessuto economico reale. Il futuro dei nostri professionisti, artigiani e piccole imprese non può essere sacrificato sull’altare della diplomazia opaca.
Solo un’Europa più trasparente, assertiva e vicina ai territori potrà riportare il giusto equilibrio tra competitività e giustizia economica.