Disattese le promesse per i professionisti: nessuna riforma per gli immobili

La Legge delega n. 111/2023 aveva sollevato grandi aspettative nel settore della fiscalità legata agli immobili dei lavoratori autonomi. Tra le proposte di riforma, spiccava la promessa di una maggiore equità nel trattamento fiscale degli immobili strumentali, con particolare riferimento alla possibilità di equiparare l’acquisto in proprietà a quello in leasing. Tuttavia, lo schema di decreto legislativo recentemente approvato sembra aver tradito queste attese, lasciando inalterate alcune delle disparità che si era annunciato di voler superare.

Le promesse della legge delega

La relazione illustrativa alla Legge delega sottolineava come fosse ingiustificata la disparità di trattamento tra l’acquisto in proprietà e quello in leasing per gli immobili strumentali e promiscuamente utilizzati. Attualmente, infatti, i canoni di leasing degli immobili strumentali sono deducibili nell’arco di almeno 12 anni, mentre le quote di ammortamento degli stessi immobili, se acquistati in proprietà, non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore autonomo. Una disparità che si riflette anche sugli immobili ad uso promiscuo: mentre i canoni di leasing sono deducibili al 50%, in caso di acquisto è possibile dedurre solo il 50% della rendita catastale.

In teoria, la riforma avrebbe dovuto porre fine a questa evidente sperequazione. La delega attribuita al Governo delineava il principio di una completa equiparazione, così da offrire ai professionisti una maggiore libertà di scelta tra le due modalità di acquisizione. Tuttavia, nello schema di decreto attuativo, questa parte della delega sembra essere stata accantonata.

Le ragioni del mancato intervento

Dietro questa decisione sembra esserci una preoccupazione legata agli effetti sul gettito fiscale. Introdurre la deducibilità delle quote di ammortamento per gli immobili acquistati in proprietà avrebbe determinato un calo delle entrate erariali. In effetti, permettere ai professionisti di optare per l’acquisto con ammortamento diluito avrebbe potuto ridurre l’attrattività del leasing, che, oltre a comportare un costo per interessi passivi deducibili, genera anche entrate per lo Stato attraverso la tassazione dei redditi delle società di leasing.

Questa scelta è stata motivata dalla necessità di preservare il bilancio pubblico, ma ha suscitato delusione e critiche. Si è deciso, dunque, di mantenere la deducibilità dei canoni di leasing, evitando un ulteriore aggravio per i professionisti che già utilizzano questa modalità di acquisizione. Tuttavia, ciò ha fatto emergere un problema di fondo: come si può attuare una riforma fiscale che sia efficace senza incidere in alcun modo sul gettito? Una domanda che, evidentemente, è rimasta senza risposta.

Il contenuto del decreto attuativo

Nonostante l’assenza dell’equiparazione tra acquisto in proprietà e leasing, lo schema di decreto introduce alcune novità per il reddito di lavoro autonomo. Si evidenzia un ulteriore avvicinamento della disciplina fiscale per i professionisti a quella prevista per le imprese, sebbene con alcune incoerenze rispetto al principio di cassa che caratterizza storicamente il reddito di lavoro autonomo.

Tra le modifiche principali troviamo:

  • Ammortamenti dei beni strumentali materiali: il nuovo articolo 54-quinquies conferma il principio di cassa per i professionisti, salvo alcune eccezioni, come gli ammortamenti e i canoni di leasing. Gli ammortamenti degli immobili strumentali restano indeducibili, perpetuando la disparità con il leasing. Inoltre, viene introdotta la regola, già applicata alle imprese, della deducibilità dimezzata nel primo anno.
  • Eliminazione del cespite dall’attività: viene estesa ai professionisti la disciplina già prevista per le imprese. In caso di cessione o eliminazione di un bene strumentale, il costo residuo non ancora ammortizzato è deducibile, tranne quando il bene viene destinato a finalità estranee all’attività professionale, per cui si applicano le regole sulla tassazione delle plusvalenze.
  • Acquisto di beni di modesto valore: viene confermata la deducibilità immediata per i beni materiali strumentali di costo non superiore a 516,40 euro, coerentemente con la disciplina vigente.
  • Plusvalenze e minusvalenze: le regole vengono avvicinate a quelle del reddito d’impresa, ma con alcune differenze significative. Ad esempio, le plusvalenze non sono rateizzabili e concorrono interamente al reddito nell’esercizio di percezione, in linea con il principio di cassa.
  • Spese per immobili strumentali: le spese di ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili strumentali e promiscuamente utilizzati sono deducibili in quote costanti nell’anno di pagamento e nei cinque successivi. Viene eliminato il limite del 5% sul costo complessivo dei beni ammortizzabili, che penalizzava chi aveva poche immobilizzazioni.
  • Beni in locazione finanziaria: per la cessione dei contratti di leasing, si confermano le regole già applicate nel reddito d’impresa, includendo nel reddito del professionista il valore normale del bene al netto del prezzo di riscatto e dei canoni residui.

Un avvicinamento al reddito d’impresa tra luci e ombre

Con queste modifiche, il decreto attuativo prosegue il processo di assimilazione del reddito di lavoro autonomo a quello d’impresa. Tuttavia, il risultato è una disciplina fiscale sempre più complessa e asistematica, che sembra tradire il principio di semplicità e chiarezza richiamato dalla stessa Legge delega. Il criterio di cassa, già eroso da precedenti interventi, viene ulteriormente indebolito, generando incoerenze che rischiano di aumentare l’incertezza per i contribuenti.

In conclusione, la riforma ha introdotto alcuni elementi innovativi, ma ha mancato l’obiettivo principale: eliminare le disuguaglianze nel trattamento fiscale degli immobili strumentali. L’auspicio è che, in futuro, nuove risorse finanziarie possano consentire interventi più incisivi e coerenti, garantendo ai lavoratori autonomi una disciplina fiscale finalmente equa e razionale.

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